5° Capitolo

La Terza Pagina:

Gassa d'amante: nodo da dimenticare.

 

Sono nato e cresciuto in mezzo a barche, barcaioli, pescatori, naviganti. Ho passato la mia giovinezza tra moli, cantieri navali, escursioni in mare con Carlo Hoffmann, anziano professore di navigazione del nostro Istituto Nautico, e con lo zio del già famoso Agostino Straulino.

A vent'anni, per professione, ho cominciato a navigare, poi ho abbandonato il mare fino al momento della pensione ed allora ho ricominciato, per diporto.

 

Dopo tanti anni ho trovato un mondo quasi sconosciuto. Nella mia giovinezza nessuno prendeva in mano un timone se non era già padrone di tutte le manovre: era una sorta di consacrazione. Oggi trovo al timone persone che non sanno da che parte viene il vento. Nessuno si permetteva di dare ordini se non era capobarca (skipper era una parola sconosciuta), il quale spesso si limitava a nominare a voce sommessa la manovra ed ognuno a bordo capiva cosa doveva fare e quando.

 

Ogni cima era manovrata in silenzio, con calma e precisione da un membro dell'equipaggio che non si permetteva di lasciarla finchè non l'aveva adugliata per bene in modo che fosse impeccabile alla manovra successiva. Oggi, a volte il capobarca è subissato di consigli su quale manovra fare e quando e come, varie persone corrono a fare la stessa azione, mentre altre azioni della stessa manovra vengono ignorate e in pozzetto si inciampa in grovigli di scotte e drizze che nessuno si prende più la briga di adugliare.

 

La strambata era una sfortunata ed involontaria manovra degli inesperti: gli altri si limitavano a "virare in poppa" o "poggiare alla banda".

Oggi tutti strambano e ancora non so come è chiamata la manovra quando viene effettuata fuori tempo oppure in modo sbagliato.

 

Molte operazioni richiedevano, come oggi, dei nodi sulle cime: ma ognuna aveva un suo nodo, semplice e sicuro, frutto dell'esperienza marinara.

 

Mai una gassa d'amante. Nella mia giovinezza ricordo di averla vista in bella mostra solo sui libri di scuola di mio padre ed ho imparato a farla quando anch'io ho frequentato l'Istituto Nautico. Ho imparato a farla con una sola mano, a farla nelle versioni inglese, olandese, a farla con gli occhi chiusi, a farla su cavi già in trazione e senza lascarli, ma non ne ho bisogno quasi mai.

 

Mentre non navigavo, ho passato decine di anni arrampicando: dal Monte Tricorno, la cima più alta delle Alpi Giulie, al Monte Bianco, la cima più alta d'Europa. La prima cosa che ti insegnano, se vai in montagna, è di legarti con la corda e per legarti ti insegnano un nodo che chiamano di Bulin. Quando lo hanno insegnato a me, sono rimasto di stucco nel ritrovare sotto un altro nome la familiare gassa d'amante. Ma oggi il nodo di Bulin è in declino: i più aggiornati ora si legano con il nodo Savoia doppio. Anche se è più difficile e più lungo da fare, è più sicuro che la corda non si spezzi.

 

A bordo invece, quasi l'unico nodo che vedo usato è la gassa d'amante.

La barca risulta addobbata in ogni posto da gasse d'amante come se si trattasse dei fiocchetti che, una volta, le ragazze mettevano fra i capelli per essere più vezzose. Ho visto anche dei parabordi legati alle draglie della battagliola con gasse d'amante!

 

I più collaborativi, fra quelli che navigano con me, alle volte mi guardano con compassione e poi mi vengono vicino e mi insegnano a sostituire con una gassa d'amante il nodo che sto facendo e di cui non conoscono neppure il nome, nè la funzione.

 

Nel 2000 ho avuto la fortuna di navigare, come membro dell'equipaggio, sulla tallship a tre alberi Kaliakra della marina bulgara (è bene fare della storiografia sulla marina bulgara prima di ironizzare). Manovre e cime non mancano su un grande veliero: le ho studiate tutte ritrovando anche il nodo di anguilla, che in gioventù mi era stato insegnato per fissare la drizza al picco della randa. Su velieri come il Kaliakra il picco della randa richiede ben di più di un nodo di anguilla, ma esso era abituale in manovre meno impegnative.

 

Passavamo le guardie franche facendo esercitazioni marinaresche, con

approfondimenti che nei cinque anni di Istituto Nautico non avevo riscontrato, compresi molti nodi fra cui la gassa d'amante. Poi, nell'uso pratico, sul Kaliakra, non ne ho mai vista usare nessuna, meno che mai sulle cime di ormeggio. C'era sempre un nodo più efficiente, semplice e veloce di quest'ultima.

 

Del resto mi era noto fin da ragazzo che ogni nodo o impiombatura indeboliva le cime: con cime di canapa o manila si parlava di un 15-20%.

 

Dopo l'arrivo dei moderni cavi di fibre sintetiche era un problema che avevo sempre presente, a maggior ragione perchè da ragazzo avevo constatato che il modo più comodo di tagliare le lenze in monofilo di nylon era di fare un semplice nodo al punto giusto e dare un leggero strattone.

 

Non sapevo però valutare l'entità dell'indebolimento e non mi è parso quindi vero di trovare su un recente numero di una rivista di nautica (Nautica N. 520, Agosto 2005) un test di resistenza sul cordame.

Il test era limitato alle impiombature ed alla gassa d'amante, ma le notizie decisive sono: il vecchio valore di indebolimento del cavo nel caso di impiombature risulta diminuito a circa il 12% sia per le impiombature tradizionali su cavi a trefoli, sia per le impiombature "tipo Samson" su cavi a doppia calza. Ha quindi ragione la Samson quando specifica nelle istruzioni che per le sue impiombature si può attendersi una perdita di resistenza al massimo del 10%.

 

Dal test è emerso anche che l'indebolimento della cima nel punto del nodo delle gasse d'amante non è più il già alto 20% che conoscevo, ma addirittura il doppio: dal 35% al 40%.

 

Sarebbe interessante conoscere l'indebolimento delle cime prodotto anche da altri nodi, ma mi è di conforto rilevare che nessuno dei nodi più

utilizzati in pratica dai marinai della mia prima gioventù era così

stressante per la struttura dei cavi come la gassa d'amante.

 

Un altro aspetto nell'uso del cordame, che continua a meravigliarmi dal mio ritorno in marina, è l'assenza di radance.

Quando navigavo da ragazzo praticamente non c'era cavo terminante ad occhiello senza una radancia. La maggior parte delle manovre fisse, ed anche delle manovre

correnti, era fissata allo scafo tramite una radancia. A quell'epoca non mi rendevo conto del perchè ma il test della rivista "Nautica" mette in risalto l'importanza del raggio di curvatura delle cime nel punto in cui si avvolgono ad un centro di resistenza e mette in evidenza un indebolimento fino al 50% dei cavi, sia tessili che di metallo, nel punto di una curva stretta. Per evitare guai, con i cavi in metallo le curve dovrebbero avere un raggio almeno 10 volte il diametro del cavo.

Per i cavi tessili "Nautica" non riporta misure, ma nelle prove, quando i cavi in poliestere da 10 mm si sono rotti, è sempre avvenuto sul punto in cui la cima dava volta su un grosso grillo da 16 mm. Sullo stesso cavo erano presenti anche impiombature che invece non hanno mai ceduto.

 

Oggi le radance sono quasi scomparse: si salvano sui cavi di ormeggio dei pontili, ma solo quando sono predisposti da porti qualificati. Ed è di tutti i giorni vedere cavi dati volta ad anelli o sbarre aventi un diametro più sottile di quello della cima che li avvolge.

 

Perè ho finalmente capito che l'uso di radance da parte dei miei vecchi non era una fissazione, ma il rimedio ai rischi già conosciuti di curve troppo strette, oggi di nuovo documentati.

 

Anche Henry Tabarly, aveva rotto più volte le drizze degli spi nel punto in cui, facendo una S su due pulegge, si inserivano e cominciavano a scorrere all'interno dell'albero. Lui aveva concluso che ciò poteva essere dipeso solo dal fatto che le pulegge avevano un diametro insufficiente rispetto al diametro delle drizze. Infatti le sostituì ed il danno cessò.

Detto da Tabarly era giusto tenerne conto anche prima, ma ora c'è anche un test sperimentale in più sull'importanza di fare curve larghe.

 

Mi aspetto l'obiezione alle mie considerazioni: la resistenza dei cavi moderni sarebbe talmente superiore a quella della manila e della canapa che, se anche se ne perde il 50%, tutto funziona bene lo stesso! Con i cavi più usati, quelli in poliestere, la proporzione non è poi così grande. E poi, quanti ne sono consapevoli? Io sono convinto che, quando si ha bisogno di un cavo, non è una buona scelta quella di raddoppiare la sua sezione (e la spesa per comprarlo) soltanto perché potrebbe venire indebolito da curve micidiali o da gasse d'amante evitabili o da altri cattivi modi di impiego.

 

La lezione che ho imparato dalla lettura del test di "Nautica" è che ho fatto bene a fidarmi dei vecchi marinai del mio paese e seguire i loro insegnamenti, anche se mi è costato un po' di lazzi e di compatimenti da parte dei provetti "marinai moderni" ai quali mi permetto di far presente, con molta umiltà, ma con altrettanta fermezza: qualche volta la gassa d'amante è un nodo prezioso, ma quasi sempre è il peggiore ed esiste un nodo più semplice e più qualificato alla bisogna.

 

E' più importante perdere qualche minuto per imparare pochi nodi in più e per imparare a scegliere quello adatto nella circostanza, per imparare a fare gasse impiombate al posto di gasse d'amante, per imparare ad usare radance e per diventare marinai qualificati piuttosto che accontentarsi di essere marinai moderni.

 

Può essere istruttivo a questo fine l'ormeggio che mi è appena capitato di fare con una barca di ben 19 metri fuori tutto su un molo con una noiosa risacca.

 

Assolutamente normale all'inizio: me lo avevano insegnato quando ero adolescente. Sceso in banchina con la cima, in un batter d'occhio ho dato due giri di bitta, così la barca era assicurata ed anche un bambino avrebbe potuto reggere gli strappi della risacca attenuati dall'attrito dei due giri di cima sulla bitta. La bitta aveva un diametro molto superiore a quello della cima che pertanto non subiva alcun indebolimento. Due mezzi colli finali col dormiente, quasi inerte, sul corrente assicuravano la tenuta dell'ormeggio senza alcun rischio che il nodo potesse assucarsi.

I manuali chiamano questo velocissimo nodo in modi diversi. A me piace il nome: un giro di bitta e due mezzi colli (anche se, secondo me, i giri di bitta sono due). Messo in ordine tutto il resto, ero andato in paese. Al mio ritorno, ho trovato il nodo sostituto da una gassa d'amante! Il principiante aveva indebolito l'ormeggio del 35-40%, proprio con il mare in risacca, mettendo a rischio la sicurezza di una barca di quelle dimensioni, soltanto per la vanità di ostentare l'unico nodo che conosceva.

 

E se fosse stato lui a fare l'ormeggio, quanto avrebbe dovuto aspettare il capobarca in quelle condizioni del mare prima di poter concludere l'attracco?

 

 

4. Le applicazioni pratiche. L’investitura.

(tratto da: L'Ottalogo della Fratellanza della Costa - Commento - G. Piccione - Ed. G.I.P. in vendita presso la Libreria internazionale "il Mare" s.r.l. via Ripetta 239 Roma 00186  tel-fax 063612155)

 

        Se il fine della Fratellanza è l’amore per il Mare in tutte le possibili, lecite attività pratiche, il mezzo per appartenervi è  l’esserne investiti in cerimonia solenne.

 

        La nostra Investitura.

 

        È essa il fulcro su cui si muove e ruota l’elemento personale della Fratellanza della Costa.

        È il punto d’arrivo dell’Aspirante e quello di partenza del Corsaro.

        Per il primo sancisce il suo ingresso all’Associazione; per il secondo il suo diritto a fregiarsi del titolo di Fratello della Costa; ad issare sul pennone più alto della nave su cui naviga la propria insegna; ad essere accolto dagli altri Corsari da Fratello; ad agire, ad operare nel rispetto e nell’osservanza dell’Ottalogo e dei Principi cui si ispira la moderna Fratellanza della Costa.

        All’Investitura gli Aspiranti non arrivano spreparati perchè hanno frequentato la Tavola di appartenenza da almeno due anni, partecipando agli Zafarranchos organizzati sulla terra ferma, nei covi dei Fratelli od in mare in navigazione ed all’ormeggio.

        La vita di una Tavola corsara non è fatta solo di bevute del tradizionale rhum, scandite dal golpe de cagnon battuto dai Fratelli; della partecipazione alle uscite in mare, individuali o collettive, lungo qualunque rotta, in crociera o in regata; non è fatta solo di studi, approfondimenti, conversazioni su vari aspetti della navigazione, sulle tecniche ed esperienze del governo ed utilizzo della barca nelle molte attività marinare; o su quanto possa formare, in relazione al Mare, oggetto di attività nautiche, amministrative o legislative.

        La vita di Tavola si dispiega e si sviluppa sulla base di una salda e sincera amicizia tra uomini, legati dal comune amore verso il Mare; da una comune visione del ruolo che questo Elemento vitale svolge a favore dell’Umanità; da una comune esperienza vissuta in mare e soprattutto, dal rapporto di fratellanza scaturente dalla adesione completa ai contenuti dell’Ottalogo.

        In questa nuova atmosfera, così diversa da quella che si vive tra persone che si trovano insieme, in banchina con le barche all’ormeggio o per la appartenenza ad un club nautico, l’Aspirante, coinvolto emotivamente e spiritualmente, comincia a conoscere e capire cosa leghi, cosa animi queste persone all’apparenza simili a tutti gli altri naviganti; nella sostanza impegnati a conseguire uno scopo comune: vivere ed applicare Regole di buona umanità, di corretta condotta verso gli altri uomini di mare, verso il Mare.

        La reciproca comprensione e l’evidente apprezzamento dei superiori Principi, sfociano nella comune attenzione e nella disponibilità a prendere in esame l’imbarco dell’Aspirante nella Tavola. Così, decorso il biennio, i Fratelli di Tavola si riuniscono e all’unanimità ne decidono l’ammissione per presentarlo al Consiglio Grande e Generale, che delibererà, se non vi siano opposizioni, sul suo definitivo arruolamento.

        La delibera è l’epilogo di un procedimento che inizia con la presentazione ai membri del C.G. e G.  dell’Aspirante da parte del Luogotenente della Tavola o di un suo padrino, che ne magnificherà le qualità di buon marinaio e buon Aspirante; prosegue con l’intervento di un componente il C.G.  e G.  in funzione di “avvocato del diavolo”, che ne metterà in evidenza una qualche manchevolezza per porre il Consiglio in condizione di decidere con la necessaria prudenza.

        Perchè detta ammissione sia perfetta ed efficace, occorre procedere alla investitura del novello corsaro.

        Questa avviene nel corso di un’apposita cerimonia solenne, suggestiva e densa di significati simbolici.

        Data la sua importanza, altre Fratellanze della Costa vi procedono alla presenza dei soli Fratelli ed in convento riservato.

        In Italia, poichè essa è anche occasione di gioia per tutti gli interessati, è tradizione che si celebri in Zafarrancho nazionale, alla presenza dei parenti dell’arruolando oltre che dei Fratelli, delle loro Schiave e dei Maggiorenti della Fratellanza.

        Gli elementi essenziali sono:

        - la “sciabola d’arrembaggio”, forgiata in puro acciaio, con incisi i simboli della Fratellanza della Costa. In Italia ne è esempio la sciabola della Tavola di Siracusa forgiata all’incudine da mastro Pino.

 

        - L’Ottalogo da recitare nella sua lingua originale ed in quella italiana;

 

        - Gli officianti:

        il Gran Maestro della Fratellanza Italiana (in sostituzione del Luogotenente);

        Lo Scrivano Maggiore (nelle vesti del Contromaestro);

        L’Armero Major (in sostituzione del Tenente).

 

Le fasi della cerimonia.

 

        Lo Scrivano Maggiore invita tutti gli astanti a fare silenzio ed a partecipare con il necessario raccoglimento all’evento solenne che sta per compiersi; quindi presenta gli aspiranti (che sono stati già predisposti dai rispettivi padrini o madrine con la benda nera che copre l’occhio sinistro), chiamandoli con il loro cognome e per Tavola di appartenenza: costoro confluiscono al centro della sala ove si svolgerà la cerimonia.

        Dice il Gran Maestro: “Andiamo ad investire i nuovi Fratelli della Costa. Scrivano Maggiore, portate gli aspiranti”.

        Lo S.M.: “Vi presento gli Aspiranti che hanno meritato di entrare nella nostra Fratellanza”.

        Di fronte agli aspiranti è il Gran Maestro, assistito dall’Armero Major che custodisce la “sciabola d’arrembaggio” con la quale si procederà alle investiture; il G.M. ha in mano la pergamena su cui è vergato l’Ottalogo in lingua spagnola. Alla destra del Gran Maestro, è lo Scrivano Maggiore con in mano la pergamena dello Ottalogo in italiano.

        Nella penombra ed al discreto suono del coro del Nabucco, si compiono gli atti della cerimonia:

        Il Gran Maestro, rivolto agli Aspiranti: “Applaudite, in questo modo dimostrate il vostro ingaggio volontario nella fraterna Nave della Costa”.

        Lo S.M. fa eseguire l’applauso.

        “Togliete la benda”. (I padrini, le madrine eseguono).

        Il G.M.: “Da questo momento siate Fratelli coscienti dei vostri atti e tendiate ad una perfetta visione dell’orizzonte”.

        Lo S.M. invita ogni aspirante ad inginocchiarsi sul ginocchio destro ed il padrino/madrina a porsi alle sue spalle.

        Agli Aspiranti inginocchiati, Il G.M.: “Mettete la mano destra sopra la patente originaria e la sinistra sopra l’omero destro”.

        Il Gran Maestro recita una per una le Leggi dell’Ottalogo in spagnolo e lo Scrivano Maggiore gli fa eco ripetendole in italiano.

        A lettura completata il Gran Maestro invita gli aspiranti a promettere fedeltà all’Ottalogo e rispetto delle delibere legittimamente assunte dagli organi della Fratellanza della Costa.

        Quindi gli stessi prestano solenne promessa.

        Mentre la sala si illumina completamente, le note del Nabucco assumono il volume della solennità.

        L’Armero Major, sguainata la sciabola d’arrembaggio, con essa, procede all’investitura di ciascun fratello imponendola nell’ordine sulla spalla sinistra, sulla destra e sulla testa.

        Nel mio biennio di G.C., procedendo personalmente alle investitura dichiaravo: “ti nomino, ti costituisco, ti creo, Fratello della Costa”.

        Poi invitandolo ad alzarsi, dicevo: “Tu sei mio fratello”.

        Proseguendo lo S.M., consegna a ciascuno di essi la personale “patente di corsa”, il “banderin negro” con il numero di “bitacora”.

        Una calda stretta di mano ed un rude abbraccio sugellano l’avvenuto imbarco.

        Il G.M.: “Un nuovo Fratello della Costa entra a far parte dell’Associazione”!

        Flash, trambusto trasformano quella sala prima silenziosa ed attenta in una festa goliardica in cui i neo ammessi, ancora confusi ed emozionati, cedono all’arrembaggio dei Fratelli, delle Schiave, degli amici e parenti che se li contendono in abbracci, congratulazioni e gesti affettuosi.

        Man mano i festeggiati si disperdono nella grande sala; i clamori si attenuano e la gioia, l’allegria riprendono il tono composto di sempre.

        Tutti si è consci che un grande evento si è compiuto; un evento che garantisce, nel futuro, il perpetuarsi dell’Idea e dello Spirito della Fratellanza della Costa custodito negli animi dei nuovi, giovani Fratelli; che conferma il convincimento che altri uomini, altri Fratelli si adopereranno per assolvere con buona volontà e con la modestia dei loro mezzi, ruoli benefici nel mondo multiforme della marineria.

        Il G.M.: “Ciascuno al proprio posto”.

        “Scrivano Maggiore, ordina una bordata di tre scariche in onore di tutti i Fratelli del Mondo che aumentino i propri effettivi con l’ingaggio di questi nuovi Fratelli della Costa”.




5 . TAVOLA SFORZESCA - Ruolino
a) Tominz Livio 1000 Lgt Fratello 1.10.74 Milano 0229001184 330608518 livio.tominz@tiscali.it medico
b) Pfeifer Mario 1970 Scrivano Fratello Milano mapferf@tiscali.it
c) Nale Giorgio 1853 Consigliere Fratello 19.04.97 Milano 0362852189 3355356305
d) Pecorari Nino 1117 Consigliere Fratello 1.05.92
Milano 20121 l.go Treves 5 026551230, 026592436 0229006806 2472727337 fulmedia@fulmedia.it
e) Avenia Emilio 1442 Fratello anziano
f) Floris Igino 744 Fratello anziano
g) Brotto Paolo 2041
h) Nale Angelo 2042
i) Rizzi Eugenio 2043
l) Serra Guido 2044 guido.@gmail.comserra
m) Spasari Diego 2045
n) Vezzoni Matteo 2046 v.vezzoni@tiscali.it

Bengasi: Archimede

 Busto di ArchimedeArchimede di Siracusa


E' tra i grandi di ogni epoca, ed il suo contributo a far temere irripetibile il clima brulicante di genialità della corte siracusana non va escluso, pur non riguardante la sfera letteraria. Egli ha lasciato dietro al suo nome una così grande scienza che qualcuno stenta a credere alle notizie sulle sue capacità e realizzazioni; anche se riportate da fonti dimostrate attendibili per fatti più ordinari. E la sua morte per rozza mano, più che bruta ci pare emblematicamente caratteristica degli alti e bassi dello spirito umano, con le sue pronte ripercussioni nella storia, ed accadimenti spesso orrendi: con la fine di Archimede un soffio animale, quello sempre imprevedibile, spegne simbolicamente la umanamente divina fiamma ellenica della Sicilia, l'unica dei poeti creatori di nuovi ritmi e delle commedie, di uno stile di vita con le sue mode e le famose estrosità come il gioco del cottabo; e il gesto irrazionale di un uomo puro soldato, paragonabile a quello commissionato da Antonio contro Cicerone, sembra faccia fuggire quelle Muse cui si è creduto per vari secoli, dopo aver ispirato alla Magna Grecia tutta ed alla Trinacria, pensieri davvero immortali che qui semplicemente e semplificando ricordiamo, sfogliando gialle pagine da trascrivere (digitando) su nuove ancora candide.
Roma non saprà dare, impegnata essa stessa ad apprendere, quanto diede la Grecia sul piano culturale, e la Sicilia inizierà daccapo a percorrere una diversa trazzera; un po' meno sola, ma un po' meno regina. Pur se grande merito va ai Romani d'essersi innamorati del vivido respiro greco, anche in Sicilia, curando il mantenimento di tradizioni e monumenti, come quelli di Segesta IMG.
Qui, e altrove, leggiamo di cose già note e poi nel tempo riscoperte da altri: se ignoriamo che alcuni traguardi già dall'uomo raggiunti già ci appartengono, forse non siamo in grado di accettarli pienamente, (perché scomodi per i nostri atavici difetti?). In una piccola, buia biblioteca c'è già più di quanto le esperienze della nostre singole vite potranno insegnarci: andiamoci, e leggiamo quanto più possiamo.
Ciò che lo storico romano Tito Livio definì manus ferrea e speculo con le quali vennero sollevate, per poi essere buttate sugli scogli, e bruciate le navi romane (Ab Urbe còndita, XXIV, 34) vennero progettati da Archimede. Il fisico e filosofo nato a Siracusa nel 287 è stato anche uno dei più grandi matematici dell'antichità. Era il figlio dell'astronomo Fidia. Probabilmente Archimede studiò ad Alessandria d'Egitto, e lì fece amicizia con Conone di Samo, Dositeo di Pelusio, Eratostene di Cirene, e fu allievo di Euclide alla scuola di questi; tornò poi a Siracusa, dove scrisse quasi tutte le sue opere: Della sfera e il cilindro, Misura del circolo, Conoidi e sferoidi, Le spirali, Sull'equilibrio dei piani, Arenario, Quadratura della parabola, Sui corpi galleggianti, Stomachion, Ad Eratostene: sul metodo sulle proposizioni meccaniche, ed altri frammenti.
Tutte le sudette opere furono tradotte in latino nel medioevo e studiate a fondo durante il Rinascimento. Archimede a noi interessa ricordarlo per il suo contributo dato alla filosofia ellenica, insieme ai colleghi della prestigiosa e longeva scuola di Alessandria del III secolo a. C.; loro grande merito è stato quello di ignorare i preconcetti ed usare il metodo oggi definibile sperimentale (o galileano), per la verifica pratica dei dati suggeriti dall'osservazione diretta; così facendo hanno lasciato un metodo applicabile genericamente allo studio delle scienze che sarebbero poi diventate geografia e geometria, per esempio.
Archimede più nettamente chiede alla formulazione teorica che si tramuti in applicazione tecnica, catalogando e verificando rigidamente i dati ottenuti.
Egli morì a Siracusa nel 212 a.C. - si dice per mano d'un soldato incerto sul da farsi di fronte all'indifferenza provata dal genio nei suoi riguardi - durante l'assedio romano guidato da Marcello, a causa della rottura dell'alleanza tra Siracusa e Roma, stipulata dal tiranno siciliano Gerone II, che morì nel 215 a.C. La sua lungimiranza aveva limitato a Siracusa le conseguenze della disfatta della prima guerra punica tra Roma e Cartagine con un trattato col console Valerio (Messalla): era il 263 a.C.
Il nipote del tiranno, Geronimo, ottentuo il trono, nel corso della seconda guerra punica fu convinto dalle offerte di due ufficiali cartaginesi - Ippocrate e Epicide - a sciogliere l'alleanza con Roma per appoggiare le gesta di Annibale.
Ecco quali furono le conseguenze che, sempre, atterriscono gli amanti della pace, con le parole di Polibio:
"Allorquando nella parte d'Italia ch'era appellata Magna Grecia arsi furono i collegii de' Pitagorici, insorse tosto un movimento universale degli Stati, conforme accader dovea, poiché così inaspettatamente eran periti gli uomini principali di ciascheduna città".
(Storie, libro II, cap.XXXIX, a cura di I. Kohen, UTET, 1855, Torino)

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REGISTRO GENERALE delle INSEGNE NUMERATE ANNO 2005

MAGGIORENTI
________________________________________________________COGNOME NOME NBIT CARICA TITOLO TAVOLA
--------------------------------------------------------
Patti GianCarlo 1105 Gran Commodoro Fratello Madre di Tutte le Tavole
Pecorari Nino 1117 Scrivano Maggiore Frat. Sforzesca
Checchi Andrea 1315 Gran Maestro Fratello Guelfa
Checchi Cesare 936 Saggio Connestabile Guelfa e Madre di tutte le Tavole
Hermano Major
Piccione Luigi 1106 Saggio Commodoro Madre di Tutte le Tavole
Tominz Livio 1000 Saggio Fratello Sforzesca
Marcucci Gianni 1966 cap.d'arm.to Fratello Guelfa
Curcio Pier Clemente 2048 Uff.Casermetta Fratello Archimede

Ruolino Tavole
___________________________________________________________________________
COGNOME NOME NBIT CARICA TITOLO Data IMB Tavola
INDIRIZZO TEL FAX CELL E-MAIL PROFESSIONE NOME BARCA PORTO ORMEGGIO
--------------------------------------------------------------------------------1 - TAVOLA MADRE di TUTTE le TAVOLE ITALIANE
a) Pecorari Nino 1117 Lgt fratello
Milano fulmedia@fulmedia.it
b) Tominz Livio 1000 Scrivano fratello
Milano 0229001184 330608518 livio.tominz@tiscali.it medico
c) Avenia Emilio 1442 - Fratello
d) Checchi Cesare 936 - Conn. Saggio H.M. 1.03.72 Firenze 055899999 0558978542 336684838 s.checchi@tiscali.it commercialista
d) Floris Igino 744 - Fratello
e) Patti Giancarlo 1105 - Gran Commodoro 1.01.74
Siracusa v. Filisto 59 0931 411774, 093130409 studiolegalepatti@virgilio.it
f) Pfeifer Mario 1970 - Fratello
Milano mapferf@tiscali.it
g) Piccione Luigi 1106 - Saggio Commodoro 1.01.74
Siracusa 96100 v. Tagliamento 22 0931 756344 750625 093166949 3491264021 luigi.piccione@libero.it
2 - TAVOLA ARCHIMEDE
a) Nicotra Salvo 2051 lgt 29.12.05 Siracusa
0931 757506 salvonicotra1@virgilio.it
b) Bengasi Francesco 2047 scrivano 29.12.05 Siracusa
0931 753547 3358211152 fbengasi@consorzio-cem.it
c) Curcio Pier Clemente 2048 cap. d'arm. 29.12.05 Siracusa
0931 60910 759349 giotto_grafica@virgilio.it
d)Iannò Roberto 2049 Fratello 29.12.05 Siracusa via Di Giovanni 41 0931 61267
e) Lonzi Michele 2050 Fratello 29.12.05 Siracusa v. Lo Surdo 1/A 0931 756308 360767301
f) Petrolito Luciano 2052 Fratello 29.12.05 Siracusa v. Teracati 92 0931 441400 luciano.petrolito@studionet-sr.it
g) Zisa Giuseppe 2053 Fratello 29.12.05 Siracusa v. N. Grotticelle 20 giuseppezisa@alice.it
Padrini
Patti Giancarlo 1105 - Gran Commodoro 1.01.74
Siracusa v. Filisto 59 0931 411774, 093130409 studiolegalepatti@virgilio.it
Piccione Luigi 1106 Saggio Commodoro 1.01.74 Siracusa 96100 Tagliamento 22 093166949 3491264021 luigi.piccione@libero.it
0931 756344 750625 studio.piccione@libero.it

3 - TAVOLA GUELFA
a) Checchi Andrea 1315 Lgt G.M. Fratello 1.01.80 Firenze 335 329273 checchi.andrea@libero.it com.sta
b) Bianchi Stefano 1843 scrivano Fratello 19.04.97 Firenze 50129 v. Toscanelli 5 stefano@bianchistudio.eu rag. Com.sta
c) Checchi Cesare 936 Saggio Connestabile H.M. 1.03.72 055899999 0558978542 336684838 s.checchi@tiscali.it commercialista
d) Checchi Massimo 1844 consigliere Fratello 19.04.97 s. Donnino di Campi 50010 Via Pistoiese 132 banco.fiorentino@inwind.it
e) Checchi Roberto 1845 consigliere Fratello 19.04.97 Castelfarnco di Sopra 52020 Pulliciano cas. 132
055 9149797 praticilono@val.it impr. agriturismo
f) Marcucci Gianni 1966 cap.d'armamento Fratello 11.11.00 Firenze 50124 v. delle Greve 5 marcucci.gianni@tetinet.com geometra
Padrino
Checchi Cesare 936 Saggio Connestabile H.M. 1.03.72 055899999 0558978542 336684838 s.checchi@tiscali.it commercialista

4 - GIOVANNI da VERRAZZANO - Tavola in Cantiere
Fratello carica n. bitacora professione
1) Patti Giuseppe luogotenente 2054 architetto
3384936755 gpatti@tre.it
2) Solari Riccardo scrivano 2055 architetto
3497116515 magetto@yahoo.it
3) Nicolini Andrea consigliere 2056 avvocato
3395423307 nicoliniandrea@yahoo.it
4) Guazzaroni Francesco consigliere 2057 Studente
3389079590 francesco.guazzaroni@cheapnet.it
5) Marino Antonio consigliere 2058 Avvocato
3396880339antonioemme@inwind.it
6) Paoletti Andrea fratello 2059 Studente
3396506232
7) Vivaldi Francesco fratello 2060 Imprenditore
3490089531
8) Cadenzo Marco fratello 2061 architetto
9) Ubertazzi Alessandro fratello 2062 prof. Arch.
Padrino
Patti GianCarlo 1105 Gran Commodoro Fratello Madre di Tutte le Tavole

5 - TAVOLA SFORZESCA
a) Tominz Livio 1000 Lgt Fratello 1.10.74 Milano 0229001184 330608518 livio.tominz@tiscali.it medico
b) Pfeifer Mario 1970 Scrivano Fratello Milano mapferf@tiscali.it
c) Nale Giorgio 1853 Consigliere Fratello 19.04.97 Milano 0362852189 3355356305
d) Pecorari Nino 1117 Consigliere Fratello 1.05.92
Milano 20121 l.go Treves 5 026551230, 026592436 0229006806 2472727337 fulmedia@fulmedia.it
e) Avenia Emilio 1442 Fratello anziano
f) Floris Igino 744 Fratello anziano
g) Brotto Paolo 2041
h) Nale Angelo 2042
i) Rizzi Eugenio 2043
l) Serra Guido 2044 guido.@gmail.comserra
m) Spasari Diego 2045
n) Vezzoni Matteo 2046 v.vezzoni@tiscali.it


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